Milano – Triennale: una mostra (“The new italian design – ll paesaggio mobile del nuovo design italiano”) stimola ad un gioco di squadra inusuale: ingegneri, logistici e curatori di mostre d’arte…
Veicoli commerciali ed industriali assiepati davanti agli ingressi, carrelli e transpallet in continuo movimento: solo che non siamo dentro un magazzino o accanto ad una ribalta, bensì all’ingresso della Triennale di Milano, una delle sedi “storiche” dell’arte italiana (vedi box).
E l’appuntamento, questa volta, non è con il responsabile della logistica di turno, ma con Andrea Branzi, tra i mostri sacri dell’architettura e del design italiano, curatore della mostra “Il paesaggio mobile del nuovo design italiano“, e con Emanuela Baracchetti, Sales Manager della LCS di Milano, azienda specializzata (tra l’altro) nella progettazione ed installazione di sistemi e soluzioni completi per il Material Handling, dall’hardware al software (vedi «La logistica «intelligente” abita qui” – Il Giornale della Logistica – aprile 2007′).
Ingegneri e architetti che collaborano? Ci dev’essere sotto qualcosa. Intanto operatori specializzati stanno introducendo all’interno della Triennale, con qualche problema di accesso (una porta non è una baia…), oggetti di svariato genere, peso e natura che, una volta disimballati si riveleranno essere moderne opere del design italiano e… nastri trasportatori motorizzati curvi e rettilinei, motori, sostegni, dischi e quant’altro ma di aspetto decisamente più tecnico e a noi famigliare, visto che sono i medesimi sistemi di movimentazione visti in azione in plurime piattaforme.
Andrea Branzi: “Il design da professione di elite si è trasformato, negli ultimi dieci anni, in una professione di massa. Non in senso negativo, ma nel senso che vi accede un numero crescente di addetti chiamati ad interpretare una realtà dinamica, dove il design è un’attività strategica per tutto il settore industriale. Nel XX° secolo gli oggetti erano progettati per durare un decennio, oggi i prodotti invecchiano più rapidamente. L’innovazione costante impone una costante capacità di innovazione sotto tutti i profili, a cominciare dal design.”
Giovani designer hanno così avuto la possibilità di esporre i loro lavori. Sono stati esposti i più svariati oggetti usati nella quotidianità ma rivisitati in colori e forme assolutamente originali.
La Triennale di Milano è sempre stato il fulcro di importanti eventi artistici, questa volta però l’allestimento è stato eseguito in una modalità del tutto innovativa.
Infatti, il curatore Branzi ha avuto un’idea assolutamente originale: organizzare le opere in un allestimento dinamico.
Non è più il visitatore a muoversi per osservare l’oggetto, ma è l’oggetto che si muove intorno allo spettatore: osservatore immobile ed opera mobile. Ma come rendere in realtà un’idea simile? L’idea portante è stata quella del sushi bar, una sorta di tapis roulant in cui le opere scorrono su un nastro. Ma come realizzare questa idea?
Gli architetti si sono rivolti alla LCS, ed è qui che nasce una collaborazione originale e più unica che rara tra una squadra di architetti e di ingegneri, insieme per realizzare la mostra mobile.
Naturalmente la differenza tra i due mondi è lampante, ma in questo caso è stata superata con un ottimo risultato.
L’architetto Branzi e l’ingegner Baracchetti hanno collaborato alla realizzazione dell’allestimento che poi è stato trasferito a Madrid e a breve sarà spostato a Tokio.
L’arte e la tecnica dovevano stare l’una alle regole dell’altra e quindi sono state inizialmente incontrate molte difficoltà: “Lo Studio Branzi – ci dice Baracchetti – temeva di vedersi proporre strutture pesanti, da azienda meccanica, giusto il contrario dei concetti di leggerezza che desiderava trasferire. Li abbiamo sorpresi…”
Alla LCS è stato chiesto infatti di fornire dei “nastri trasportatori” che avessero delle caratteristiche assolutamente opposte a quelle standard: il trasporto doveva essere per piccoli oggetti, molto leggeri rispetto a quelli che sono abituati a trasportare nei magazzini.
Dovevano avere un percorso circolare e le strutture portanti non potevano essere particolarmente invasive.
La velocità di avanzamento doveva essere la più bassa possibile.
L’azienda ha vagliato varie possibilità ed alla fine è stato approvato il progetto finale: tre sistemi di nastri trasportatori di forma ovale, di cui due in parte sovrapposti uno all’altro, con dei piatti circolari adibiti ad ospitare gli oggetti. Non era possibile fissare a terra le strutture portanti, non vi erano barriere o alzate di sicurezza perché avrebbero coperto la visuale od ostacolato il godimento estetico. I nastri trasportatori sono stati studiati per portare un peso piccolissimo.
Cosi gli originalissimi oggetti hanno potuto muoversi “attraverso” gli spettatori senza alcun problema. Gli artisti che si sono autocandidati per partecipare all’esposizione erano moltissimi: i curatori si aspettavano un centinaio di proposte, ne sono arrivate mille e fino all’ultimo LCS non conosceva il numero preciso di oggetti da esporre. Infatti inizialmente si era pensato di selezionare venti o trenta proposte ma vista l’altissima adesione alla fine i progetti selezionati sono stati 124.
Così, oltre al problema della quantità, si è aggiunto anche il problema del tipo di prodotti molto originali, definiti dall’architetto Branzi “esili, poetici, reversibili; dotati di leggerezza ed inconsistenza”, in gran parte micro oggetti di economia domestica. Quindi le tipologie espositive dovevano essere studiate per leggerezza, provvisorietà, mobilità, bisognava dare l’idea di un “galleggiamento generale”.
LCS ha dato una risposta perfetta ad una domanda che celava in fondo dubbi e paure: bisognava unire armonicamente “macchinari ingegneristici, quasi da metalmeccanici” alla parola “eleganza”. In- somma, la tecnica da magazzino coniugata al completo apprezzamento estetico.
Si può affermare che cosi all’osservatore veniva offerta l’opera su un piatto” proprio come al sushi bar giapponese.
In questo ribaltamento di ruoli tra esposizione e spettatore, in questo leggero galleggiamento, in un ambiente quasi onirico ecco l’inserimento armonico di macchinari da magazzino.
Completamente e corretta- mente ristudiati, reinterpretati: la tecnologia a servizio dell’arte. Una mostra che, come spiega l’architetto Branzi, reinterpreta la dinamicità del design.
Nella contemporaneità siamo continuamente messi davanti ad una innovazione continua, ad un cambiamento dinamico e mobile, cosi come il movimento delle opere all’interno della triennale.
La domanda che sorge è se questo tipo di allestimento possa avere un futuro ed uno sviluppo, ma l’architetto spiega come questo metodo può essere utilizzato solo in contesti particolari, con un “segno spaziale dinamico che corrispondeva al tema della mostra”.
Il suo studio ha collaborato spesso con ingegneri di logistica: i due mondi potrebbero facilmente collaborare imparando ed arricchendosi l’uno con l’altro.
Con risultati, come si è dimostrato in questo caso, ottimi e a tutto vantaggio del visitatore.